Stress: cos’è e come lo affrontiamo

“Sei stressato ”. Troppo spesso è quello che ci sentiamo dire quando non riusciamo a trovare la causa di un malessere, un disagio o un sintomo fisico. Il medico ci visita ed è tutto a posto. Allora ecco che nel 90% dei casi viene tirato in ballo lo stress. Ma che vuol dire esattamente? Prima di sottoporci a cure o analisi, cerchiamo di fare chiarezza e stabilire di cosa stiamo parlando. Capire cosa ci succede è il punto di partenza. 

Quando siamo esposti a uno stressor, il nostro organismo attraversa le seguenti fasi:

  1. Allarme: attivazione fisiologica (il battito cardiaco accelera, la pressione sale, il sangue confluisce nelle parti del corpo interessate ecc.)
  1. Resistenza: aumento dell’attenzione e della vigilanza (lo stressor attira tutta la nostra attenzione)
  1. Recupero: ristabilizzazione (ritorno alla normalità)

Queste risposte sono una risorsa preziosa che ci aiuta a mettere in atto strategie per sottrarci al pericolo o per adattarci a un cambiamento. La sede dell’attivazione si trova nella parte più antica e profonda del cervello, quella deputata al controllo delle emozioni. Quand’è che lo stress diventa un problema? Quando si rimane troppo a lungo nella seconda fase. Se non si ritrova un equilibrio, l’attivazione dell’organismo diventa cronica. 

Le strategie comportamentali più comuni per affrontare la situazione sono:

  1. Negazione: ci raccontiamo che va tutto bene;
  2. Compensazione: iperattività, superlavoro;
  3. Abuso di sostanze (caffè, alcol, droghe, psicofarmaci) e/o disturbi dell’alimentazione.

Introdotto la prima volta nel 1936 da Hans Selye, un medico austriaco, il concetto di stress si riferisce alla risposta fisiologica a uno stimolo (chiamato “stressor”) attraverso cui l’organismo cerca di adattarsi a pressioni o cambiamenti provenienti dall’esterno o dall’interno del corpo. E’ una reazione “aspecifica”, cioè non dipende dalla causa che l’ha determinata. Il modo in cui percepiamo e valutiamo il singolo evento definisce ciò che per noi è stressante e ciò che non lo è. Nel giudizio entrano in gioco il carattere, le esperienze passate, la fase di vita in cui ci troviamo e gli aspetti culturali e religiosi ai quali facciamo riferimento.

Tutte queste variabili si intrecciano tra loro in modo assolutamente unico in ciascuno di noi. Siamo fatti di esperienze, di vissuti, di ricordi e progetti. La nostra vita quotidiana è come un fiume, in alcuni momenti scorre lento, in altri ci sono le rapide. A volte anche le cascate. Il segreto sta nel fermarsi e ascoltare quello che ci sta succedendo ora. Cosa ha scatenato la nostra reazione? Come si sta manifestando nel nostro corpo? Non èfacile, lo so bene. La risposta parte in automatico. Serve allenamento. Spesso passa del tempo prima che riusciamo ad accorgerci che siamo stressati e che il nostro organismo è in iperattivazione. Il primo passo che porta alle malattie da stress è lo sviluppo dell’ipertensione, ovvero una condizione in cui i valori della pressione sanguigna sono cronicamente alti.

Vediamo come lo stress riesce a influenzare il funzionamento del sistema cardiovascolare umano e soprattutto in che modo possa diventare pericoloso per la salute. La risposta allo stress è caratterizzata dalla secrezione di alcuni ormoni e dalla inibizione di altri. Le strutture in gioco sono: l’ipotalamo, l’ipofisi (entrambi posizionati nel cervello, i quali possiedono un “sistema di comunicazione privato” ), e le ghiandole surrenali. Gli ormoni coinvolti sono principalmente l’adrenalina, la noradrenalina e i glicocorticoidi. Questi ormoni vengono immessi nel circolo sanguigno dove possono raggiungere tutti gli organi vitali del corpo e indurre in questi importanti cambiamenti. Un pericolo (reale o immaginario) produce, tra le altre cose, un immediato aumento della pressione sanguigna e del battito cardiaco proprio in virtù di questo “circuito dello stress” appena descritto. L’obiettivo finale è quello di intensificare l’afflusso di sangue ai muscoli di braccia e gambe, per facilitare un’eventuale attacco o fuga. La risposta cardiovascolare allo stress consiste quindi nel far lavorare sodo per un po’ di tempo cuore e vasi sanguigni. Poiché il primo non è altro che una pompa meccanica, e i secondi dei tubi flessibili, a lungo andare finiranno per logorarsi.

Quando la pressione aumenta, infatti, il sangue torna al cuore con più forza. Col passare del tempo, le pareti si ispessiranno producendo eventualmente un aumento della massa del ventricolo sinistro (ipertrofia ventricolare sinistra). Anche i vasi sanguigni subiranno dei danni, soprattutto nei piccoli punti di diramazione nelle arterie di tutto il corpo, incrementando in questo caso il rischio di formazione di placche aterosclerotiche. Di fronte a emergenze fisiche a breve termine, ad esempio scappare da un cane inferocito, la risposta cardiovascolare allo stress è vitale. Di fronte a uno stress cronico, questi stessi cambiamenti possono rivelarsi pericolosi.

Secondo l’Associazione nazionale stress e salute (Anses) lo stress si può definire cronico quando perdura oltre ventotto giorni. Tra le conseguenze ci sono anche alterati livelli di serotonina, il neurotrasmettitore implicato nell’insorgenza della depressione. Psicologia e Salute: il cervello “parla”, il sistema immunitario “risponde” La relazione fra stress e malattia non è di tipo semplice ma dipende da differenze individuali biologiche e di personalità, dal contesto, dalle risorse che abbiamo a disposizione e, soprattutto, dalla percezione dell’evento stressante stesso. Fino a poco tempo fa si pensava che lo stress psicologico contribuisse allo sviluppo di specifiche malattie ‘fisiche’, in particolare quelle cosiddette ‘psicosomatiche’, come ad esempio la dermatite. Successivamente tuttavia la ricerca ha messo in evidenza nuove relazioni tra fattori psicologici e malattie come ictus, tubercolosi, diabete, leucemia, cancro, vari tipi di malattie infettive, e perfino la comune influenza. Il cervello è collegato sia con il sistemaendocrino (ormonale) che con il sistema immunitario. Nuove discipline come la neuro-psico-endocrinologia e la neuro-psico-immunologia hanno contribuito a migliorare la nostra comprensione dei processi complessi che contribuiscono a produrre uno stato di salute o di malattia.

Andiamo a esaminare le influenze psicologiche sui processi immunitari. Una ricerca deglianni Settanta pubblicata su Lancet evidenziava come le emozioni legate al lutto (in questo caso la perdita del coniuge) esercitassero un’influenza negativa sul sistema immunitario, tramite la riduzione della risposta ai mitogeni (Linfochina che induce la trasformazione dei linfociti in linfoblasti). Altre ricerche hanno evidenziato che la funzione immunitaria e’ in rapporto sia con la qualità della relazione col coniuge che con la disoccupazione. Il nostro cervello quindi, o meglio le sue funzioni mentali, sono in grado di comunicare con il sistema immunitario. Si può dire che attraverso questi canali di comunicazione si può indebolire la resistenza del nostro organismo agli agenti patogeni (che producono malattia), o viceversa, si trasmettano dei segnali di rinforzo positivo.

Tecnostress e lavorativa’? Salute, esiste ancora la ‘giornata Esiste ancora un ufficio ‘fisico’? Il tempo svolge sempre la sua funzione di ‘regolatore’ delle nostre attività? Nell’era della rivoluzione digitale i confini si stanno confondendo. Lavoriamo da casa, sul treno, in macchina, in bagno… Siamo sempre connessi e sempre reperibili. Assistiamo alla graduale ‘delocalizzazione’ delle nostre giornate. Non esiste più la ‘giornata lavorativa’.

Il fiume inarrestabile di dati che ci investe, può a lungo andare generare malattia, con sintomi che possono spaziare dalle vertigini agli attacchi di panico, dalla depressione ai disturbi cardiocircolatori e gastrointestinali, dalla perdita della capacità di concentrazione al calo della memoria.

“Il più colpito è il settore della comunicazione: redattori, giornalisti, addetti ai call center. Ma anche avvocati e manager. Insomma – spiega Di Frenna – in tutte le professioni dove l’uso di Internet, dei social network e delle chat è intensivo e continuativo, il rischio di rimanere schiacciati e ammalarsi, è reale”. Partendo dall’assunto che Internet è un’occasione imperdibile per la crescita e lo sviluppo della società tutta, è altrettanto importante fermarsi a riflettere sul nostro stile di vita.

Negli Stati Uniti, ad esempio, già da tempo si stanno prendendo provvedimenti. Google anni fa ha assoldato John Kabat-Zinn, ideatore dell’ MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction), per tenere corsi pratici ai propri dipendenti. L’azienda americana ha capito che per migliorare le condizioni di lavoro e per motivare i dipendenti, non serve agire solo sul contesto, ma anche e soprattutto sulle persone. Gli si sono accodate; Apple, Yahoo, Nokia ecc. In Gran Bretagna è nato un gruppo interparlamentare a supporto di questa disciplina. Riconoscendo l’importanza mainstream della mindfulness, i politici inglesi si ripropongono di valutare il ruolo che questa potrebbe svolgere nel miglioramento dei sistemi educativo, carcerario e sanitario.

Una ricerca dell’American Psychological Association pubblicata sul sito www. mindful.org ha dimostrato che il 69% delle persone percepisce il lavoro come fonte di stress. Per ogni dollaro speso nei programmi di mindfulness rivolti ai dipendenti, se ne risparmiano 3,27 (dato della Harvard University). Numeri in tendenza con quelli riportati dall’Agenziaeuropea per la sicurezza e la salute al lavoro, che ha stimato che il 50-60% delle assenze dei lavoratori è dovuto a sindromi legate allo stress accumulato in ufficio. La mindfulness, una tecnica basata sul respiro e la meditazione, si è dimostrata utile nella gestione e riduzione dello stress, più di quanto faccia il riposo. 

La Mindfulness per ridurre lo stress

Affonda le sue radici nella meditazione orientale, ma non ha niente a che vedere con la religione. Non è una psicoterapia né una tecnica di rilassamento, anzi stimola la concentrazione e la percezione di ciò che accade nel momento presente. La sua diffusione nel mondo occidentale si deve a Jon Kabat-Zinn, http://www.huffingtonpost.com/2014/04/25/jon-kabat-zinn-meditation_n_5212768.html?1398438040, medico statunitense e pioniere della mindfulness, termine difficilmente traducibile in italiano (quello che gli si avvicina di più è ‘nuda consapevolezza’), una tecnica che sta trovando applicazione in diversi settori: luoghi di lavoro, promozione della salute, relazioni sociali, carceri, scuola, vita privata. Una filosofia di vita, una dimensione spirituale laica. Un modo di guardare il mondo, sia interno che esterno, con occhi diversi. Il percorso prevede 8 sedute di 2,5 ore circa ciascuna, più una giornata di full immersion ed è volto a ridurre l’impatto dello stress tramite la pratica della consapevolezza. Si parte riattivando la capacità di mettersi in ascolto, non di qualcuno o qualcosa, ma di se stessi e del proprio corpo, delle sensazioni che ci manda, gradevoli o sgradevoli, imponenti o insignificanti: caldo, freddo, prurito, pressione. E se la mente si distrae, perdendosi in pensieri, ricordi o progetti, con pazienza e gentilezza la si riporta sulla parte del corpo che si sta “ascoltando”. Poi si passa all’osservazione del respiro, un co mpagno fedele che ci accompagna da quando abbiamo emesso il nostro primo vagito, e che non gode quasi mai della nostra attenzione attiva. Si passa poi ad esplorare altri gesti quotidiani e “scontati”, come camminare, mangiare o guidare la macchina, attività che solitamente svolgiamo automaticamente. Infine si passa al pensiero, all’ascolto consapevole del suo flusso incessante, e a tutte le sensazioni che arrivano dall’esterno. I risultati non arrivano subito, né bisogna aspettarli con ansia. Se continui a praticare la consapevolezza, un bel giorno, all’improvviso, ti accorgi che qualcosa è cam biato.

Qualcosa di profondo che non riesci nemmeno a spiegare. Si può riuscire a mettere un freno al “pilota automatico”, quell’abitudine a non soffermarsi mai, rincorrendo a getto continuo il prossimo impegno o il prossimo problema da risolvere. E come per incanto, anche il mondo intorno a noi si ferma, restituendoci significati e lucidità che nella frenesia quotidiana avevamo finito per perdere di vista. Madeleine Bunting, giornalista del Guardian, scrive: “Lungi dall’essere considerata una moda new age, la mindfulness vende milioni di libri e applicazioni, compare sulla copertina del Time magazine, fa capolino sul Financial Times e viene utilizzata da persone di tutti i tipi, dai manager ai medici ai bambini della scuola elementare”.

La meditazione ha effetti benefici su mente e corpo. La copertina del numero di Novembre della più prestigiosa rivista di divulgazione scientifica, Scientific American, dedica ta all’argomento, rappresenta l’ennesimo importantissimo passo nel processo di avvicinamento tra una disciplina millenaria come la meditazione e parte della comunità scientifica contemporanea.

Quindici anni di ricerche con persone che praticano le varie forme di meditazione hanno infatti dimostrato, non soltanto che questa attività modifica funzioni e strutture del cervello,ma anche che le pratiche contemplative possono avere un effetto sostanziale anche sui processi biologici critici per la salute fisica.

Questa scoperta si affianca ai recenti sviluppi delle neuroscienze secondo i quali il cervello di un essere umano adulto può subire profondi cambiamenti grazie alle esperienze. Un processo simile sembra verificarsi quando meditiamo. Il cervello dei meditatori di lunga data può mostrare le seguenti modifiche: l’insula e la corteccia prefrontale – nello specifico le aree 9 e 10 di Broadmann, deputate al coordinamento di memoria e azioni complesse – mostrano un volume aumentato, probabilmente a causa del rafforzamento delle connessioni neurali implicate. Mentre l’amigdala, regione coinvolta nell’elaborazione di emozioni legate alla paura, risulta di spessore diminuito.

La “mindfulness”, una delle tre forme di meditazione analizzate dagli autori, si sta diffondendo molto negli ultimi anni. Negli Usa, dove già da un paio d’anni si parla di mindful revolution, è utilizzata nelle scuole, nelle aziende a rischio stress lavoro-correlato e nelle vite dei singoli individui alla ricerca di un antidoto ai ritmi frenetici della vita quotidiana. Questa disciplina richiede al soggetto di prestare attenzione alle sensazioni, positive o negative, che provengono dall’esterno e dall’interno del proprio corpo con l’obiettivo di raggiungere uno stato di “consapevolezza non reattiva”; riuscire cioè a percepire e accogliere tutto ciò che avviene nel momento presente, senza attivare giudizio o reazioni in modo automatico. Primo risultato: interruzione del chiacchiericcio interiore che normalmente affolla i nostri pensieri. Se eseguita con costanza, questa pratica porterà ad una maggiore capacità di gestire il dolore cronico, alla riduzione dei sintomi di ansia e depressione ed al calo sensibile della cosiddetta “ruminazione” (l’abitudine a pensare e ripensare allo stesso problema in continuazione nel tentativo di trovare una soluzione).

Gli psicologi clinici Teasdale (Università di Cambridge), Zindel e Segal (Univ. di Toronto) nel 2000 hanno sottoposto pazienti con almeno tre episodi pregressi di depressione a sei mesi di mindfulness associata a terapia cognitiva, riducendo del 40% il rischio di ricadute nell’anno successivo, rispetto al gruppo di controllo che non praticava mindfulness. La pratica contemplativa fornisce quindi una sorta di protezione dall’eventualità di nuovi episodi depressivi. Inoltre gli studi hanno dimostrato che la meditazione aumenta anche la nostra capacità di “controllare” le risposte fisiologiche di base, come le infiammazioni ed i livelli dell’ormone dello stress nel sangue. Dati che forniscono una prima ma potente spiegazione agli effetti benefici prodotti dalla meditazione sullo stato generale di salute degli individui. Ricerca e Risultati: Dal 1979, il Center for Mindfulness si dedica alla ricerca degli effetti del programma MBSR sulla salute, anche attraverso studi pilota e ricerche su larga scala finanziate dal National Institutes of Health. Fin dagli inizi della Stress Reduction Clinic presso la Medical School University of Massachusetts e successivamente in altri centri di ricerca medica delle più prestigiose universita americane ed internazionali, le ricerche mediche hanno dimostrato coerenti, affidabili e riproducibili dati sulla riduzione dei sintomi relativi ad un’ampia gamma di patologie e disturbi, sia a livello fisico che psicologico. Molte di queste ricerche hanno valutato i benefici di questi cambiamenti nel corso del tempo, fino a quattro anni di follow up.

il dono della Mindfulness è un investimento a breve termine che vi aiutera a vivere pienamente per il resto della vita.

Libri consigliati: Jon Kabat Zinn: Vivere momento per momento